All’aumentare delle nanostorie sono cresciuti esponenzialmente anche i contributi degli illustratori a cui va un sincero ringraziamento per tempo, dedizione e talento. Talvolta i microromanzi hanno avuto l’onore di essere rappresentati da più mani, teste e cuori producendo un enorme quantitativo di materiale visivo. Il tomo digitale sottostante, facilmente sfogliabile come un libro cartaceo, è il risultato delle strepitose collaborazioni che hanno arricchito d’immagini e colori i cinquecento caratteri dei minuti racconti. Si tratta di un’opera in costante evoluzione per la continua aggiunta di testi, disegni e rappresentazioni grafiche. Quindi non resta che perdersi tra le fragranti pagine del manuale crestato…
Stava tirando le cuoia, c’era poco da fare. Era la prima volta ma non poteva assolutamente sbagliarsi. Il motivo era palese, scintillante davanti a lui, lo vedeva benissimo. Un magnifico coltello dal manico ramagiato conficcato mezza spanna nel suo petto. Era arrivato roteando poco prima del rullo incalzante del tamburo e poco dopo le grida isteriche del pubblico. Ecco, in quel trascurabile intervallo di silenzio, mentre tremante si sforzare di sorridere, lo avevano ammazzato. Per una volta che era al centro della scena il sipario si chiudeva per sempre. Peccato. Di sicuro al circo non sarebbe più tornato.
Riccardo Boccardi
Ah, quanto era piacevole sguazzare in quell’oceano cristallino. I tropici. Faceva il morto sulle placide onde, indossando un costume floreale. Sole caldo e tiepida brezza. La grassa trippa scottata dal sole sporgeva come un rossastro isolotto vulcanico, con tanto di cratere ombelicale. Accarezzava la superficie col minimo sforzo per piccoli inutili spostamenti, come una grossa testuggine adiposa. E chi se ne sarebbe più andato da quel paradiso in terra? Le orecchie tappate dall’acqua, si godeva il mondo ovattato come se fosse di nuovo un feto. Beato. Poi una pinna, tre file di denti e lui faceva il morto.
Riccardo Boccardi
Il foruncolo era cresciuto a dismisura dalla sera precedente, occupava l'intero zigomo destro. Era maestoso, sembrava un vulcanello pronto all'eruzione. Proprio il giorno del casting poi. Che sfiga! Lavorò di make up, strato su strato, sfumatura su sfumatura per attenuare quel bernoccolo. Spennellò, ombreggiò ed infine pregò. Raggiunto lo studio si sedette sperando che il regista non le chiedesse il profilo migliore. Attese. L'assistente appena la vide la invitò ad andarsene.
«È per il brufolo vero?» «No signorina, pubblicizziamo balsamo da barba.» Il solito agente incompetente. Il bubbone scoppiò.
Riccardo Boccardi
Bonanza preferisce ascoltare. Sotto quei favoriti le labbra sono sempre serrate. Oltre la barba grigia e trascurata intuisco la durezza della sua mascella, stretta come una tenaglia attorno a un chiodo ritorto. Spesso mi guarda obliquo e io posso sentire tutta la sua tristezza. È una sveglia dritta allo stomaco. Boccheggio, porco mondo! Durante le nostre cavalcate passano ore senza che mastichi una parola. Lui riflette da molto tempo. Da quando ha visto per l'ultima volta sua figlia, in un giorno luminoso d'Aprile. L'ha dovuta salutare sotto un campo di margherite. La vita lo ha sfidato e lo ha battuto. Bonanza è mio amico.
Riccardo Boccardi
La TV dell’appartamento vicino continua a borbottare incessante. Sono quasi le due del mattino, sono esausto ma non posso riposare. Odio i miei condomini, sono delle bestie e odio quest'edificio fatto di cartone ondulato. Sembra di vivere in una piccola scatola dove la privacy è stata bandita. Non esiste il minimo rispetto, siamo in piena anarchia. Ecco, adesso qualcuno ha acceso uno stereo, la solita porcheria metallica. Rumore, ancora rumore. Le pareti delle stanze sono sottili come fogli di giornale. Adesso basta! Vediamo se un immobile che sembra di carta brucia altrettanto bene. Benzina, fiammifero e buonanotte!
Riccardo Boccardi
Si diceva che non avesse mai tagliato i lunghi capelli ormai grigi che teneva avvolti in un’enorme crocchia sulla testa. Era piccolo, arcigno e butterato. Lo specchio della sua immane tragedia. La moglie ed il figlio erano stati uccisi decenni prima da un ladro mai identificato, forse uno sbandato di passaggio. Era quasi impazzito per quel lutto inconcepibile poi un giorno aveva trovato pace e continuato la sua insipida esistenza. Alla sua morte il pesante chignon fu disfatto. All’interno era nascosta la testa rinsecchita di un uomo. Per anni aveva custodito su di sé il peso di quella vendetta. Quantomeno lo aveva fatto con stile.
Riccardo Boccardi
Era nato nell’Anno del Coniglio e forse per questo gli astri gli avevano regalato due enormi incisivi da roditore. Erano superbi, due zappe d’avorio che sporgevano titaniche da una bocca a cuore. Lo amavano tutti, Lepre, sembrava un cartoon. Lui invece odiava il sorriso di chiunque lo guardasse e detestava quel soprannome umiliante. Disprezzava ogni sguardo sfuggente, ogni parola sussurrata alle sue spalle. Quando una scema per strada disse ridendo: «Sei un coniglietto dolcissimo, vuoi la mia carotina?», le due zanne possenti affondato nel collo della stupida oca tranciandole di netto la giugulare. Fuggì inebriato, adesso sapeva come usare il suo dono.
Riccardo Boccardi
Aveva infilzato in punta di forchetta un biondo acino d’uva. Lo guardava interessato tenendolo a pochi centimetri dal sottile naso aquilino. Dopo qualche secondo si deliziò schiacciandolo tra i denti, ascoltando divertito il suono dello scoppio. Lo gustò a lungo. Socchiuse gli occhi e piegò il gozzo rugoso all’indietro immaginando l’estate che lo aveva maturato. Poi deglutì. Allungò di nuovo la mano ossuta e con la stessa soddisfazione trafisse l’occhio dell’antico nemico e ricordò l’attimo in cui lo aveva cavato. Baionetta, fango, trincea e sangue. Sessant’anni di paziente attesa per gustarlo. L’estasi vuole il suo tempo.
Riccardo Boccardi
Non riusciva, hic, a smettere di singhiozzare, hic. Erano passate tre settimane, hic. Tre, hic, settimane di tormento continuo. Notte e giorno quei sobbalzi, hic, quella snervante intermittenza, hic, lo avevano consumato. I singulti gli inquinavano, hic, anche il pensiero. Solo qualche minuto di pace, dove tutto sembrava risolto, poi di nuovo. Hic, hic, hic. Le occhiaie avevano preso il sopravvento sulla faccia grigiastra e cadente. Sembrava uno sharpei scolorito, hic, e sobbalzante. Avrebbe di nuovo tentato con l’apnea, primitivo rimedio. Iniziò a contare, deciso a non smettere fino alla guarigione, 1, 2, 3… 61… 192… 273… Era scomparso. Anche il singhiozzo.
Riccardo Boccardi
Il piatto era di fronte a lui. Lo guardava estasiato. Sembrava un grande crisantemo traslucido. Aveva volato dodici ore per gustare quella prelibatezza. Sashimi di fugu, pesce palla. Sottilissime fette diafane tagliate ad arte e disposte in cerchi concentrici. Bramava quella carne e ne gustò con avidità ogni singolo trancio, cercando la più esile sfumatura di sapore. Infine, sazio, compatì gli stupidi che rinunciavano ad una così sublime leccornia solo per la mortale nomea del buffo pesce. Superstizioni culinarie. Sogghignò e non mosse più un muscolo. Il maestro in cucina quel giorno era piuttosto distratto. «È morto felice» dissero.
Riccardo Boccardi
Portava sulla schiena due grandi ali di cartone. Le aveva attaccate malamente all’età di sei anni dopo che sua madre gli parlò delle divine schiere celesti. Angeli, arcangeli e cherubini invasero la sua fantasia, usurpando ogni altro pensiero. Le appendici furono strappate solo nei periodi di soggiorno forzato, in istituto. Persino adesso che in faccia aveva rughe profonde incise col bulino continuava a tenerle, ormai lerce ed arricciate. In strada camminava lento, con la cicca perennemente accesa, indossando il suo completo che del bianco aveva solo il ricordo. Loro ridevano, urlavano, parlottavano fin quando un pomeriggio lo videro librarsi in volo e non fare ritorno.
Riccardo Boccardi
Lo avevano accerchiato in pochi secondi. Erano centinaia, tutte pronte al sacrificio. Volteggiavano seguendo imprevedibili percorsi attorno a lui che si trovava al centro esatto di quel battaglione ronzante. Una nuvola compatta di api infuriate, incuranti del martirio. Con movimenti lenti si limitava ad osservare mentre i piccoli missili pelosi vibravano caotici a pochi centimetri del suo naso. Migliaia di ali e zampe cabravano e viravano rombando come stuka in miniatura. Assassini pronti a conficcare il loro pugnale velenoso sul nemico. Gesti dolci e pacati si disse poi richiuse l’arnia e controllò quella successiva. Ottima produzione quest’anno!
Riccardo Boccardi